mercoledì 23 settembre 2009

sulla laicità dichiarata e non praticata. e altre storie

L'occasione di cronaca per una riflessione sulla laicità è una delle più atroci: la morte in battaglia di sei soldati italiani in Afghanistan. Dico subito che personalmente ho capito molto di più su tutta la questione afghana ascoltando l'intervista radiofonica fatta dai conduttori di una trasmissione abbastanza "leggera" come "Caterpillar"ad un generale di corpo d'armata impegnato là sul campo, che non leggendo la stampa nazionale che, pure, tengo abbastanza sotto controllo.
Dico questo per entrare subito nel merito della questione: è di questi giorni la polemica nazionale contro quei dirigenti scolastici che non hanno voluto rispettare il fatidico minuto di silenzio, opponendo - cito a memoria - l'argomento secondo il quale le missioni di pace si fanno inviando insegnanti e dottori e non militari. E la polemica è stata arricchita dalla costatazione che i soldati, la morte, ce l'hanno per statuto, nelle loro regole d'ingaggio, insomma fa parte del loro lavoro (quindi se muoiono non stupiamoci tanto e non facciamo tante storie...); mentre invece i lavoratori, gli operai che cadono dalle impalcature, quelli no, per loro la morte non è prevista mentre lavorano, quindi, caso mai, commemoriamo loro e non i soldati.
A parte la valutazione dell'arido cinismo sul piano umano che questa posizione esprime, ritengo che aderire a questa tesi e praticarla rappresenti un'occasione politica mancata.
Se la cifra dell'impegno politico di SeL è rappresentata dalla laicità, non credo che opporre un ideologico antiamericanismo e un antimilitarismo, fermi agli anni 70, serva a qualcosa, tantomeno a fermare la guerra. Tantomeno a capirla. Tantomeno a costruire una cultura politica nuova che interpreti la complessità del mondo del 2000 e ne restituisca un'idea di società rinnovata.
Se veramente si voleva cogliere l'opportunità politica, soprattutto da parte di educatori impegnati, oltre al minuto di silenzio, quale manifestazione tangibile e laica di un cordoglio nazionale (o anche il cordoglio è un sentimento guerrafondaio e perciò politicamente scorretto? e allora lo è anche per le morti bianche...), si sarebbe potuto, nello stesso momento, nello stesso giorno, farsi promotori di una grande iniziativa pubblica di informazione nelle scuole sulle ragioni della guerra in Afghanistan, sulle ragioni della nostra presenza, raccogliendo rassegne stampa, riascoltando nelle aule interviste televisive e radiofoniche sull'argomento, invitando nelle scuole tutti gli attori di questa vicenda, nessuno escluso. Insomma dando voce a tutte le voci, militari compresi. Si sarebbe promossa così non una visibilità politica personale che trasforma tutto questo in politicismo strumentale e che fa la differenza tra chi la politica la vuole praticare e chi la vuole occupare, ma una solida campagna di opinione; un' informazione il più ampia e plurale possibile; un ritorno della politica tra i banchi di scuola non in modo ideologico, non per formare "pericolosi terroristi", ma nella cifra dell'unità nazionale - visto che sono in molti a metterla in discussione, a cominciare dalla Lega - e della costruzione di quella che una volta si definiva "coscienza critica", attraverso l'educazione permanente al confronto civile e al ragionamento libero e argomentato.
Nessuno si sarebbe potuto opporre, Gelmini compresa, ad una campagna lanciata a livello romano e/o nazionale di questa portata. Si sarebbe stati protagonisti della restituzione di un senso laico del valore della vita e dell'impegno civile che anche i militari italiani là svolgono. E sul fronte interno di SeL si sarebbe potuto cominciare da qui per elaborare una cultura politica condivisa dalle sue varie anime, oltre a riorganizzare un quasi defunto movimento studentesco.
Questo per quanto riguarda la politica "alta". Invece, volendo esercitare solo della bieca e "sporca" propaganda (anche grazie alla quale qualcuno governa questo paese da quindici anni), l'occasione perduta è, se possibile, ancora più grave.
Noto che il minuto di silenzio è una delle poche manifestazioni laiche di cordoglio alle quali abbiamo assistito. Per il resto abbiamo solo visto la parata istituzionale - piuttosto commossa in verità - delle "più alte cariche dello Stato" nella chiesa romana di San Paolo Fuori le Mura. Bene. Se si volesse fare una battaglia "spicciola" sulla laicità - visto che comunque la si fa sul minuto di silenzio - allora si sarebbe potuto strutturare la critica sul fatto che i "solenni funerali di stato" si siano celebrati in forma religiosa e non laica. Personalmente trovo veramente inopportuno ed offensivo nei confronti della Repubblica italiana che, per manifestare gioia o dolore a carattere nazionale, ai suoi rappresentanti sembri normale farlo in chiesa. Individuiamo i luoghi laici di questa Nazione per i suoi riti laici (il Vittoriano? Porta Pia?) e commemoriamo là i nostri morti. Tutti. Tutti i nostri morti, anche gli operai che cadono dalle impalcature; anche chi però la morte la pratica per professione. Chi vuole partecipare, partecipi: i vescovi? i familiari delle vittime? Siano i benvenuti. Se poi questi hanno voglia di funerali cattolici, nessun problema. Ma in forma rigorosamente privata, please.
Così come, sempre sul tema "basso", promuoverei una revisione e una puntualizzazione nel segno della differenza tra gli stessi riti, a seconda se declinati in forma religiosa o laica, prendendo spunto, perchè no, dalla curiosa espressione del cardinale Bagnasco che, alla plenaria della CEI, ha parlato di "nostra Costituzione". Bene, ha ammesso che la Costituzione italiana è anche la sua? Meglio così. Siccome è certo - vedi art. 8 - che la nostra Costituzione è laica, allora non ci dovrebbe essere nessun problema, nemmeno per i vertici della Chiesa, a condividere, per esempio, la revisione delle forme e delle modalità del matrimonio civile, oggi così drammaticamente simile a quello religioso, nel quadro delle tematiche legate alle unioni civili. Tutto questo e molto altro potrebbe essere praticabile nel segno della creazione di una cultura politica coerente e diffusa che caratterizzi la donna e l'uomo del Duemila, una donna e un uomo in relazione in una società complessa, di cui SeL potrebbe farsi, ad un tempo, promotore e interprete.