sabato 10 ottobre 2009

Qualche idea per l'Italia che verrà (1a)

Uno dei mali riconosciuti del nostro sistema scolastico - e non solo di questo, ma limitiamoci a questo - è la sua inadeguatezza rispetto alle trasformazioni della società. E non è un fatto di oggi - cioè legato alla cosiddetta velocità dell'information society - ma un limite tradizionale: le manifestazioni di piazza del 1968 dimostravano la stessa cosa. Ovvero che la scuola, contravvenendo alla sua mission naturale - cioè quella di accompagnare i giovani verso una crescita consapevole, fornendo loro il maggior numero e una buona qualità di strumenti culturali - si poneva come una sorta di baluardo del tradizionalismo presente nei ceti più conservatori, al fine di formare quella e solo quella classe dirigente, tarata sulla selezione economica e sulla conferma della provenienza sociale. Lo scossone del '68 ha contribuito ad abbattere questa visione puramente classista, favorendo la scolarizzazione di massa, garanzia di uno dei più elementari diritti di cittadinanza. Dovendo necessariamente schematizzare un procedimento molto complesso, posso solo ricordare che alcune scelte politiche scellerate e il clima generale del paese hanno tradotto il sacrosanto principio della garanzia per tutti delle stesse possibilità di partenza - cioè l'accesso e la permanenza almeno nel mondo scolastico pubblico, unica possibilità di formazione per milioni di italiani, in un'epoca ancora post-bellica, durante la quale questa possibilità non era del tutto scontata - in un processo di depauperamento della qualità scolastica pubblica, cioè nella garanzia a tutti di una formazione "a buon mercato", che ha spesso escluso dai principi e dalla pratica sia la competizione, che la selezione sul merito. Naturalmente la scuola italiana non è stata solo questo, affatto. Ma il risultato, negli anni, è stato l'affermazione di una progressiva semplificazione nel senso della superficialità e del nozionismo, che hanno escluso dall'orizzonte formativo una delle più grandi conquiste della formazione pubblica: il principio di uno studio critico, bene prezioso che solo garantisce la creazione di una coscienza laica.
L'assenza di questa dimensione oggi non riguarda più tematiche di settore, interne al mondo della scuola, ma mostra tutto il suo limite di fronte ai fenomeni di immigrazione massiccia o all'emergenza dei cosiddetti nuovi diritti.
Questo processo di livellamento culturale insieme al proliferare di alcune agenzie formative - come la televisione - non più "controllabili" secondo una logica microscopica e alla rapida trasformazione di altre - come la famiglia - dimostra di non essere organico a sostenere la competizione culturale, tecnologica e scientifica del pianeta globalizzato. Oltre a favorire un modello di omologazione che ha le sue ricadute sia sul fronte sociale - la società italiana è tra le più "ingessate" d'Europa - che su quello più propriamente politico, laddove la manipolazione di coscienze non avvedute è diventata pratica consolidata.
Nonostante le macroscopiche contraddizioni alle quali ho così superficialmente accennato, uno dei mali strutturali del nostro sistema scolastico - il reclutamento dei formatori - risponde ancora oggi a logiche eccentriche: ai professori, nessuno insegna ad insegnare, sottoposti come sono a gavette e precariati di decenni e a concorsi la cui valutazione è lasciata al libero arbitrio degli esaminatori. Nessuna programmazione rispetto ai bisogni formativi (cioè nessuna analisi dei medesimi), ma solo in funzione economica; nessun percorso guidato, nessuna attenzione specifica per la loro formazione, alcuni privilegi insopportabili per la coscienza collettiva hanno prodotto un progressivo discredito sociale che oggi si manifesta in tutta la sua gravità. La soluzione spesso è stata peggiore del male: per far funzionare la scuola, si è ricorsi ad un superato ideale di serietà (voto in condotta, maestro prevalente, ad esempio) o a un'immissione massiccia quanto impropria di modernismo (programmi che privilegiano il contemporaneo, relegando lo studio del "passato" alle prime classi; computer per tutti - era ora - ma su banchi e in aule fatiscenti). Tutti passi disorganici. Perchè, a mio avviso, la scuola viene affrontata ancora come un segmento staccato dal resto della società. L'autonomia scolastica e la trasformazione delle Università in Fondazioni - unico elemento strutturale di autentica modernità - rischia di tradursi in una forma di anarchia e autarchia dell'offerta formativa, funzionale come può diventare alla creazione di "feudi", piuttosto che in un'occasione di crescita, in assenza di contrappesi istituzionali significativi e di una riforma del sistema formativo nel suo insieme, finalizzato alla qualità piuttosto che al risparmio.
Fin qui la pars destruens. Ora proviamo a fare proposte.