martedì 13 ottobre 2009

Qualche idea per l'Italia che verrà (1b)

Data per scontata l'ingenuità in base alla quale obbiettivo politico condiviso sia quello di puntare ad una scuola pubblica di grande livello, nel quadro della circostanza per la quale le tasse vale la pena pagarle solo per avere un sistema scolastico e sanitario di qualità (tradotto: le risorse pubbliche vengano restituite a servizi pubblici di primaria importanza, gestiti al massimo livello), la prima e più importante azione preliminare è quella di un'analisi seria dei bisogni formativi, in funzione delle possibilità di occupazione a livello nazionale e delle prospettive di crescita più generale del paese sul piano internazionale. La programmazione di quanti "umanisti" o di quanti "tecnici" debbano uscire dalle nostre scuole e con quale formazione necessaria rispetto alle necessità del cosiddetto mercato mi sembra l'abc. Ammesso che tutto questo si faccia nella prospettiva della qualità, uno dei primi nodi da affrontare è proprio quello dei formatori.
Fondamentale è la riforma delle modalità di reclutamento. Parola d'ordine: aboliti i concorsi.
Per i professori delle cosiddette scuole dell'obbligo - naturalmente tutti laureati con la laurea specialistica e i docenti delle materne e delle elementari o con doppia laurea (obbligatoria quella in pedagogia) o con percorso formativo a forte impronta pedagogica ad hoc - l'accesso dovrebbe avvenire -dopo la laurea o le lauree - vincendo un dottorato "in didattica", cioè una scuola di specializzazione, che preveda un percorso teorico e tecnico-pratico che includa stage e affiancamenti didattici nelle scuole pubbliche e formazione sui modelli più avanzati delle teorie glottodidattiche.
Va da sè che l'accesso a questa specializzazione dovrebbe essere permesso dopo un esame "progettuale", sul modello dei dottorati di ricerca, che tenga conto del curriculum formativo universitario e programmato in ragione delle esigenze recettive delle scuole pubbliche, parificate e private. E' necessario dunque il solito, elementare data base PUBBLICO della presenza sul territorio delle realtà scolastiche; questo modello avrebbe il vantaggio di favorire la solita trasparenza, la solita selezione sul merito - cioè sul percorso - il solito stimolo alla motivazione piuttosto che al clientelismo.
Per quanto riguarda l'accesso alla docenza universitaria, invece, sarebbe utile mutuare da altri paesi - visto che le università possono darsi lo statuto di fondazioni con un semplice voto unanime del senato accademico, come già accade in alcune realtà estere - il sistema fondato sulla responsabilità del singolo. E' chiaro che ogni aspirante ricercatore deve poter fare sia un percorso interno alle strutture di ricerca universitarie - ad esempio secondo il modello attuale della facoltà di medicina - o proporsi come autentico outsider che accede ai fondi di ricerca attribuiti ad un team sulla "parola" del docente di riferimento. Lo stesso docente che non farà un concorso una sola volta nella vita, ma che sarà sottoposto ogni quinquennio ad un riesame di idoneità e che quindi avrà bisogno di un team sempre attivo e del quale si assumerà pienamente la responsabilità di "assunzione".