martedì 27 aprile 2010

Ancora sulle donne. Ancora pars destruens

L’ultima tornata elettorale ha messo ancora di più in evidenza uno dei mali endemici della politica italiana: la sostanziale assenza delle donne.
La media nazionale, dopo le elezioni del 2010, relativa alla nostra presenza in politica, è del 12,4% circa, con alcune punte di “eccellenza”: la Calabria, regione senza donne; il Lazio, nessuna donna eletta nelle fila del PD, e in tutto solo cinque, di cui due già dimissionarie (Bonino e Hack) a favore di uomini, a parte le sette del listino Polverini; nelle altre regioni, la presenza femminile, sia pur ridotta, si deve a specifiche norme ispirate al protezionismo delle quote.
Insomma, un esercito di uomini avanza in politica e nell’intera mappa del potere, fatta di CDA e presidenze di enti, le cui nomine sono di pertinenza pubblica: nel Lazio, la presenza delle donne in questi ambiti si aggira intorno al 2%.
Colpa della società, si dirà. Certo. In Italia la strutturazione sociale nel suo complesso è organizzata per contrastare, invece che confermare, l’orientamento al mainstreaming, consolidata prassi europea che prevede che tutta la società concorra alla parità di genere, innescando meccanismi virtuosi che coinvolgono tutti, uomini e donne.
Colpa anche delle donne, dico io. Un arretramento simile, sia politico che evidentemente culturale, non può più lasciare nessuno spazio agli alibi, alle cattive pratiche, soprattutto a quelle perpetrate dalle donne a scapito delle donne.
Un arretramento simile, che prefigura una società a senso unico, dove al genere femminile viene assegnato il solito ruolo ancillare per l’affermazione maschile e da “ape operaia” per il sostegno dell’intera organizzazione sociale, testimonia innanzitutto la cattiva pratica femminile, di cui abbiamo avuto ampia testimonianza proprio nelle ultime elezioni. Le donne, quando si sono impegnate, hanno fatto campagna elettorale per gli uomini, rendendosi complici dell’oscuramento delle altre donne; anzi, la cronaca ci testimonia di sedicenti organizzazioni femminili che sono sparite alle loro referenti naturali proprio per l'occasione elettorale, riducendo la politica e il sostegno di genere a qualche ridicola notarella di “augurio” su facebook. O peggio, a cose fatte, alla emissione di risibili comunicati, carichi di bolsa retorica vetero femminista, che offendono la dignità e l’intelligenza delle donne e degli uomini e che non fanno altro che solidificare quel soffitto di cristallo che a chiacchiere si dichiara di voler abbattere.
Il malessere evidente causato da questa politicuccia truffaldina ed egoistica – che rappresenta, con le variabili del caso, una costante di tutto lo schieramento almeno del centro-sinistra – trova la sua causa nell’assenza di democrazia interna nei partiti, deputati a selezionare la classe dirigente della Nazione, che disattendono sistematicamente l’applicazione dell’art.49 della Costituzione, dal quale evidentemente si deve ripartire. Questo scenario ha gravi ricadute negative sull’intera organizzazione democratica del Paese, generando fenomeni di arrogante autoreferenzialità del ceto politico, grande o piccolo che sia, potente o meno che sia; di sconcertante autismo di una casta, lontana dai bisogni, come dai territori; di un inaccettabile regime di cannibalismo tutto interno ai partiti, che ha scippato ai cittadini anche la fiducia nella partecipazione democratica, come attesta l’impressionante tasso di assenteismo al voto.
Il Partito Socialista lo sa e per opporsi a un simile scenario ha affidato un compito preciso a tutti i suoi eletti: ridimensionare l’autismo delle istituzioni attraverso una politica comune che favorisca l’equità di genere e le riforme. Una delle rarissime iniziative dello scenario politico italiano che testimonia il passaggio dal lamento all’impegno…