domenica 13 febbraio 2011

Reati, non peccati

E' quello che avrei voluto sentire levarsi forte e chiaro dalla piazza di Roma e delle altre città italiane, oggi. E invece niente. E invece abbiamo ascoltato l'autorevole suora o la nota attrice, ma nessuna che abbia detto con chiarezza: "L'autodeterminazione della donna non è in discussione. L'autodeterminazione non è un elastico che può essere tirato solo quando fa comodo. O c'è o non c'è. E per ogni persona, c'è. E vale per la donna che decide di abortire, come per quella che invece di fare la cameriera preferisce viaggiare su un Cayenne, parcheggiato all'Olgettina. Noi oggi siamo qui perché non siamo d'accordo sui criteri di selezione della classe dirigente di questo Paese, che prevede che solo chi fa parte di certi entourage possa accedere alle cariche pubbliche, alla faccia della preparazione e del merito. Noi siamo qui perchè vogliamo che i partiti diventino luoghi democratici, con regole chiare e trasparenti, in ossequio al dettato costituzionale. Noi siamo qui perché rivendichiamo il nostro diritto ad essere pienamente responsabili di noi stesse e delle nostre scelte, qualsiasi esse siano; perché non intendiamo più essere gregarie di nessuno, tantomeno di quegli uomini che magari oggi sfilano con noi e ci appoggiano, tranquilli del fatto che, una volta finita questa manifestazione, tutto tornerà come prima, perché nessun attentato è stato realizzato al loro potere, nessun tema di fondo è stato aggredito. Noi siamo qui perché rivendichiamo il diritto/dovere di intervenire su tutti gli argomenti che riguardano questo Paese, e non solo su quelli de "il corpo delle donne".
Certo, quando c'è di mezzo "il corpo delle donne", il discorso si fa delicato. Ma quello riguarda molto più la tratta, la riduzione in schiavitù o certe immagini pubblicitarie e meno, molto meno la logica sottesa ad un cosiddetto stile di vita del "lavoro-guadagno-pago-pretendo", che prevede che un vecchio ricco ultrasettantenne si contorni di giovani donne e giovanissime per riempire il proprio tempo ludico. Di questo ne sono personalmente disgustata, ma non lo giudico moralmente. Come non giudico le decine e decine di coppie scambiste o le studentesse e casalinghe che numerose oggi in Italia si prostituiscono per libera scelta. Per farla breve, non sono affatto interessata ai costumi sessuali di nessuno, al di fuori dei miei e di quelli dei miei eventuali partner. E siccome ho introiettato i valori un po' ottocenteschi del decoro, della decenza e della riservatezza, rimango inorridita quando dei propri costumi sessuali se ne fa pubblico uso e quando pubblicamente questi vengano usati. Anzi, mi sembra davvero una violenza inaccettabile. Mi auguro dunque che, qualora veramente esistano foto intime del "premier", queste non vengano mai pubblicate. Mi sentirei a disagio per il suo disagio, esattamente come mi ci sento quando osservo in televisione alcune esibizioni che offendono palesemente il mio senso della dignità della persona. In quelle circostanze cambio canale o osservo per cercare di capire in che mondo vivo. Ma senza giudicare la libera scelta di giovani e belle donne che liberamente usano il proprio corpo e decidono di entrare in un meccanismo che, per definizione, le usa per come appaiono e non per quello che "sono". Di solito, di fronte a tutte queste manifestazioni e a molte altre infinitamente più pornografiche (la faccia di Signorini mentre intervistava Ruby, ad esempio), penso che anche per il mondo dello spettacolo potrebbero esserci regole che rimandano alla capacità artistica, così come per il mondo della politica dovrebbero esserci regole che rimandano alla costituzione. Ma quello che mi rende davvero spaesata in questa melassa che mischia tutto senza mettere a fuoco niente è l'inevitabile ricorso ai valori cattolici: in questa Italia secolarizzata, e non da oggi, l'opposizione perde ogni occasione per evitare di scandalizzarsi moralisticamente e di "chiedere permesso" alla Chiesa per alzare la voce, preferendo questo ad una chiara affermazione laica del dovere di perseguire reati e non giudicare i peccati.