venerdì 16 gennaio 2009

Sulla fuga dei cervelli. E su un'idea di paese normale.

Riporto qui, dopo aver chiesto l'apposito consenso, i termini del dibattito che infuria in questi giorni sulla mailing list interna dei bibliotecari italiani. I medesimi, in gran numero (anche per me insospettabile), desistono dal cercare lavoro in Italia. Forse non tutti sanno che per fare questo mestiere, c'è bisogno di una notevole competenza di natura teorica - si trattano materie che fanno riferimento a discipline con un preciso statuto epistemologico - e una pratica che va periodicamente aggiornata. Non è un caso che in altri paesi europei, la qualificazione professionale del bibliotecario - oggi non più conservatore di conoscenze, ma "distributore" di saperi - è comparata a quella del ricercatore. Dicevo, quindi, che molti di questi aspiranti bibliotecari - chi può - sta emigrando, perchè in Italia sono semplicemente senza speranza. Qui di seguito riporto la risposta integrale di un bibliotecario che, a fronte della dis-occuppazione e sotto-occupazione di persone altamente qualificate che a loro spese studiano, fanni corsi di aggiornamento, si sobbarcano di qualsiasi onere per garantire continuità dei servizi per essere pagati, quando va bene, una miseria, espone, con non molta serenità invero, la situazione di "normalità, che egli vive in Germania. E' chiaro che l'esempio che propongo di questo settore dei lavoratori della conoscenza è sintomatico della drammaticità dello stato della P.A. in generale (concorsi "aggiustati, mancanza di canali ufficiali di professionalizzazione, mancanza di opportunità di lavoro, ecc...), condizione che emerge con ancora più drammatica chiarezza nel momento in cui viene messa a confronto con la situazione di altri paesi.
Buongiorno cari colleghi,
al riguardo delle esperienze all'estero io posso dire della Germania.
Lì, una volta laureatisi in uno degli indirizzi del corso universitario
o dei master di scienza della biblioteca, si invia un curriculum alle
biblioteche che offrono posti di lavoro e si viene poi invitati ad un
colloquio in base al voto finale della laurea e agli altri requisiti
personali (esperienze pratiche, altre competenze etc.). Chi è
bibliotecario, perché ha un titolo, lavora in biblioteca. Chi non ce
l'ha non può acquisire questo diritto in altro modo. Impensabile
sostituire 4 anni di studio universitario con un concorso. Semplicemente
ridicolo. E infatti i tedeschi ridono, quando gli racconto, come non
funziona in Italia.
Ma la cosa fondamentale è che in Germania non vige l'italian style. Un
direttore di biblioteca non decide in base alla sua appartenenza ad un
partito politico o in base a legami di parentela. Decide in base alla
corrispondenza fra profilo professionale richiesto dal posto di lavoro
che deve occupare e profilo professionale offerto da chi si candida. Una
linearità del genere non esiste ancora nella testa di chi attualmente
determina la realtà bibliotecaria italiana e neanche in tante altre
teste. È un fatto di cultura. Bisogna buttare via tutto e costruire un
sistema nuovo fondato su altri principi. Tentare di cambiare il sistema
attuale fondato sull'italian style non serve. Quelli non cambiano.
Quindi finché la situazione è questa, le teste migliori non hanno altra
scelta che andare all'estero, che poi è estero fino ad un certo punto,
visto che viviamo negli Stati Uniti d'Europa. L'Europa è bellissima e
vivere fra gente civile è un sogno soprattutto per noi che non ci siamo
abituati. Attualmente avere conoscenze e qualità in Italia non è un
criterio né per essere scelti, né per essere pagati. È questa la realtà.
In Italia ci andiamo a fare le vacanze, forse.